La scuola di Frate Raffaello

Estratto da "Messaggero Cappuccino n. 4 - Giugno-Luglio 2014 - pag. 44"

2014 P Raffaello alla tomba di don Milani

di padre Raffaello Del Debole

Dove tutto cominciò

Per rispondere devo tornare a molti anni fa, a Forlì e a Diego Flamigni, di qualche anno più vecchio di me. Raccoglievamo la carta o il rame per recuperare fondi per le missioni e lui era capace di raccogliere persino i pezzetti di filo telefonico, ma alla fine siamo riusciti a comprare un trattore per la missione! Oltre a Diego c’erano i ragazzi di fra Agostino, gli scout. Fra Agostino e fra Cristoforo mi presentarono due di questi giovani molto in gamba: uno di questi è stato per diversi anni sindaco di Rimini, Alberto Ravaioli, mentre l’altro si chiamava Pierangelo Gentilini. Angelo aveva un fratello, Sergio, che ho conosciuto più tardi… con loro siamo diventati amici al punto che Sergio è venuto anche in missione da me, a Timbaro, dove mi ha aiutato a fare l’altare della chiesa e la falegnameria. Era un maestro, una persona generosa, per un certo periodo andò anche in America Latina a insegnare, poi si ammalò di cancro e la malattia se lo portò via…

Ecco, conobbi don Lorenzo Milani grazie a Sergio che mi mandò molti libri che, appena ricevuti, cominciai subito a leggere e a mettere “in pratica”.

Scuola in missione con Frate Agostino
 Un'aula della scuola di Padre Raffaello: sopra la lavagna non c'è la foto di un presidente ma quella di Frate Agostino Bertoni, fondatore del Forlì 3.

Ero già impegnato nella scuola e, dopo quelle letture, cominciai a prendere con me un gruppo di ragazzi - arrivai ad averne fino a trenta - e li ospitavo nella missione, davo loro da mangiare e seguivo un metodo che prendeva spunto da don Milani e dall’esperienza del seminario serafico di Imola: al mattino alzata presto, poi la colazione - che si preparavano da soli - necessaria per restare concentrati, e quindi a scuola tutti assieme alle otto, perché avevo tutte le classi assieme, la prima, la seconda, la terza e il fidel [la scuola di alfabetizzazione per i più piccoli, ndr]. Dopo il pranzo la scuola continuava e tornavamo in classe, poi tutti insieme andavamo a lavorare nel campo fino al tardo pomeriggio. Si cenava ancora insieme e, durante i pasti, uno leggeva ad alta voce in amarico un libro per gli altri. Poteva essere la Bibbia o qualche altro testo come, ad esempio, la vita di santa Margherita da Cortona, scritta da François Mauriac e tradotta in amarico da un cappuccino francese che mi aveva preceduto. La giornata finiva con qualche chiacchiera e poi tutti a letto. Questo è andato avanti per quattro o cinque anni, specialmente nel tempo di Menghistu, che è stato al potere dal ’77 al ’91; io sono sempre stato nella scuola coi miei ragazzi e avevo un contatto continuo con loro.

Grazie all’esempio di don Milani ho insistito ancora di più coi ragazzi, cercando di far capire loro che, se volevano essere promossi, bisognava che quanto avevano studiato l’avessero “dentro”, senza abbassarsi a copiare. Allora le scuole erano fatte in cicca, un misto di fango e paglia, spalmati alla struttura di legno, e permettevano suggerimenti anche da fuori, a voce o passando i compiti attraverso i buchi che si potevano fare in basso nelle pareti. Tutto questo non andava bene, così come non va bene che ora, nelle scuole del governo, sicuramente più solide, i ragazzi non siano seguiti in modo adeguato: si muovono, si scambiano i compiti, copiano, magari sotto lo sguardo complice degli insegnanti! Non è giusto, perché non aiuta i ragazzi a crescere.
A Timbaro, dove per la carestia avevamo un grande magazzino di ferro e lamiera, con un ispettore venuto da fuori per l’esame governativo (alla fine dell’ottava classe) ci mettemmo d’accordo che la prova doveva essere seria e onesta. Separammo i banchi tra loro per costringere ognuno a dimostrare senza sotterfugi la propria preparazione, anche a costo di scelte dure, come l’escludere dalla prova chi si fosse girato o avesse cercato di copiare. Il risultato fu disastroso e quasi tutti furono bocciati. Ma nessuno fu abbandonato: chiesi a tutti se erano disposti a studiare seriamente ripetendo l’anno in modo più serio e quasi tutti rimasero a prepararsi.

Gente della missione

Se una scuola è seria diventa un esempio, al punto che l’ultimo anno degli insegnanti che erano universitari, avendo un po’ di tempo libero a disposizione, mi offrirono il loro aiuto per la mia scuola. Alla fine degli anni di studio, tra tutti i partecipanti alle prove finali i ragazzi col punteggio più alto provenivano dalla nostra scuola.

Presenza continua

Il lavoro con questo gruppo di ragazzi è stato importante e io sono sempre stato presente, per dare loro cibo non solo per il corpo, ma anche per la mente e per lo spirito. Quando poi ho deciso di attraversare il fiume Omo per avviare la nuova missione del Dawro Konta, avevo pensato di affidare alcuni di quei ragazzi a padre Silverio, ma questi decisero di seguirmi e con cinque o sei ragazzi ho continuato questa esperienza, anche grazie al sostegno in particolare di due sorelle bolognesi - le Stefanini Nanni - che nel tempo mi hanno aiutato con diverse offerte proprio per questo gruppo di giovani. Il loro aiuto è stato fondamentale, perché, se c’è la buona volontà, l’affiatamento, l’unione delle persone, si fanno miracoli, ma se tutto questo non c’è, puoi avere tutti i soldi che vuoi ma non servono a niente.

Tra questi ragazzi uno l’abbiamo aiutato a diventare infermiere, un altro ha finito gli studi universitari in letteratura inglese, un altro ancora ora è impegnato col sindaco nelle finanze e nella supervisione dei villaggi, poi ce n’è uno che ha studiato informatica e grazie a questa specializzazione lavora da più di un anno, mentre un altro ancora sta studiando medicina e presto sarà dottore. E infine c’è Ghirma, che è dottore e lavora a Dubbo nella clinica che vi ha costruito mons. Marinozzi e, come era accaduto ai primi ragazzi di don Lorenzo Milani, per tanto tempo è stato il mio aiutante nel seguire i più giovani, coi quali condivideva non solo le conoscenze, ma anche ogni momento della giornata.

2004 Raffaello e quadro della madonna

Dopo che, con grande dispiacere, non mi sono state più affidate le scuole, ho continuato ad aiutare gli studenti come potevo. Ad esempio, il sabato li ascolto leggere e preparare le letture domenicali e cerco di far comprendere loro che non è la lettura meccanica che serve, ma aver capito ciò che si sta leggendo, e che solo comprendendolo da dentro lo si può trasmettere a chi l’ascolta.

 

Ecco, per don Lorenzo Milani ho quasi una devozione, lo sento quasi come un mio maestro.

Grazie a lui ho capito e apprezzato anche lo stile deciso e la disciplina dei miei educatori del passato, come quello di padre Fedele conosciuto nel seminario serafico di Imola, o la grande sensibilità di padre Cipriano Cipressi da Fanano, il mio insegnante in quinta elementare, capace di seguirti con amore e incoraggiamento. Dopo Imola, a Ravenna trovai padre Callisto, che ci organizzò come scout, facendoci apprezzare questo stile di vita. Per ognuna di queste figure di educatori la scuola e lo studio erano fondamentali, ma anche e in modo del tutto particolare la presenza: non ci hanno lasciati mai soli, come don Milani con i suoi scolari di Barbiana.

Il gruppo Scout ASCI poi AGESCI Forlì 3 è stato attivo nella Parrocchia di Santa Maria del Fiore dal 1955 al 1974. Oggi un altro gruppo Forlì 3 opera nella Parrocchia di Santa Caterina da Siena

       

-----------------------------

Giglio giallo

 

 

Copyright © 2023 Arrigo Bondi