Il fazzolettone sul saio: nasce il Forlì 3

Il fazzolettone sul saio: nasce il Forlì 3

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Nel ripercorrere i 19 anni di scoutismo del Gruppo Forlì 3 Presso la parrocchia di Santa Maria del Fiore, risulta con evidenza quanto questi siano stati strettamente collegati alla indimenticabile figura di Frate Agostino Bertoni.

Infatti, solo con il suo trasferimento all'età di quarant'anni a Forlì, nacque presso la parrocchia di Santa Maria del fiore il Gruppo Scout che terminò le sue attività poco dopo la sua morte, lasciando ai giovani che lo conobbero un “tesoro” di esperienze di vita e di eventi educativi quali essi stessi in diverse occasioni ebbero modo di testimoniare.

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Frate Agostino già nel 1945 a Bologna, appena passato “il ciclone della guerra”, aveva fondato il gruppo Scout Bologna 16, realizzando così un sogno che accarezzava fin da quando, negli anni ‘20, aveva amministrato le attività degli Esploratori, che poi le leggi liberticide portarono alla soppressione.

Egli riteneva, e non finiva mai di ripeterlo, che lo scoutismo accompagnato dalla fede cristiana forma il carattere dei ragazzi, preparandoli a diventare uomini responsabili e coscienti.

Così, nell'ottobre 1955, fu fondato quello che dopo un paio d'anni si chiamerà Gruppo Scout Forlì 3 a cui fu dato il fazzolettone rosso.

A chi gli chiedeva il perché di questo colore egli rispondeva che “prima di essere il colore della bandiera della lotta di classe, il rosso, nella tradizione popolare era il simbolo dell'amore”.

E questo amore lui lo divideva fra San Francesco, che cercava di imitare nella povertà, nell'umiltà, nell'obbedienza e i suoi ragazzi, i quali lo ricambiavano e collaboravano con lui nella crescita del gruppo e gremendo l'oratorio.

Lo chiamavano il “FRATE” ed era veramente, per tutti i ragazzi che lo avvicinavano, come un fratello ed un amico, al quale si aprivano per ricevere gli incitamenti a perseverare o i richiami per gli errori che l'età portava a commettere.

Nel 1963 in occasione di un campo estivo, ebbe come assistente Padre Anastasio Cantori, il quale si trovava in Italia per un periodo di riposo dalla missione India dove da vari anni operava. Vedendo con quale attenzione i ragazzi ascoltavano il Padre raccontare delle grandi miserie di quel Paese, suggerì di chiamare il Clan “Chorgalia”, dal nome di un povero villaggio indiano, facendo iniziare così la collaborazione del Gruppo con le missioni Cappuccine.

Ed il Frate, malgrado gli acciacchi aumentassero, era sempre in prima linea nella disponibilità per il lavoro, dandosi continuamente ed incessantemente come esempio, così da indurre anche i meno volenterosi ad imitarlo.

Nel 1969, col passaggio al Clero locale della Missione in India, la Provincia dei Cappuccini di Bologna apri la Missione dell’Etiopia in Kambatta.

Ciò avrebbe permesso al Frate di mantenere fede alla promessa fatta ai suoi ragazzi, di mandarli in Missione.

Già nel dicembre del 1971 un primo gruppo di sei giovani scout si recò in Etiopia. Al ritorno, come lui aveva predetto, la spinta all'impegno galvanizzò tutto il Gruppo a perseverare nell'iniziativa missionaria nella convinzione di essere sulla “buona strada”.

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Già da vari anni, i medici gli avevano proibito di andare ai campi estivi, essendo i disagi e l'altitudine micidiali per il suo cuore malato. Ma pur restando a casa, era con loro, pregava per loro e provvedeva da lontano a tutte le loro necessità.

A partire dal 1973 alterno ricoveri ospedalieri con cure presso l'infermeria del convento bolognese, ritornò nella primavera successiva riprendendo il lavoro senza lamenti continuando a fare i lavori più pesanti, per risparmiare i ragazzi che il Signore gli aveva affidato.

Nel 1974 li mandò ancora alle vacanze estive, ma al loro ritorno è costretto a ricoverarsi di nuovo all'ospedale, da dove, dopo un alternarsi fra questo e l'infermeria del convento, risponderà alla chiamata del Padre il 1° gennaio 1975.


Il Frate resterà sempre una figura fondamentale per tutto lo scautismo forlivese.

Come si spiega il suo successo, testimoniato dal ricordo indelebile lasciato in centinaia di ragazzi passati attraverso il Forlì 3?

Il Frate non aveva solo doti umane fuori dal comune, capacità psicologiche nel capire i problemi dei giovani, una dedizione totale alle cose in cui credeva, una intelligenza vivissima (anche se pareva volesse nasconderla per umiltà francescana): c'era qualcosa di più.

Frate Agostino aveva la capacità di realizzare in sé la sintesi fra una profonda fede religiosa e lo stile scout.

Non dimentichiamo che lo stesso Baden Powell aveva dichiarato che lo Scoutismo Cattolico era la realizzazione piena del suo metodo: il cattolicesimo aveva dato un'arma più profonda al suo movimento che per tanti aspetti si rivelava molto laico, razionale e “borghese”.

Il Frate non solo aveva vissuto intensamente i valori in cui credeva, ma li aveva comunicati agli altri più con l'esempio che con le parole.

... Mi è dispiaciuto molto di non essere potuto arrivare da voi che desideravo tanto incontrare sul vostro lavoro e di vedere tutti i bravi lupetti che mi saluterai tanto e dirai loro che siano sempre bravi e buoni e sempre in gamba e faranno del loro meglio e che i capi e i vicecapi sestiglia saranno un vero aiuto per Achela e vecchi Lupi.

Certo che il tempo non alleggerirà il vostro lavoro, ma abbiate pazienza che il Signore benedirà certamente voi e e quello che fate.

Per il pulman di ritorno e il camion è tutto a posto?

Un saluto, un augurio a tutti di buon lavoro. Che il Signore sia sempre con il vostro lavoro, vi accompagni sempre e vi benedica.

Frate Agostino"

Così scriveva ad Alberto, l'allora Achela, durante le vacanze di Branco del 1966.

Frate Agostino, al pari di Baden Powell, aveva una visione positiva di tutti i ragazzi perché li sapeva vedere nel profondo e in tutti sapeva trovare “quel 5% di buono” che c'era, ma soprattutto, secondo il perfetto stile scout, che considera la vita come un “grande gioco” da affrontare con forza, con gioia, spendendo bene le proprie carte, considerò la sua vita come un grande gioco, in cui spendere con passione i propri talenti, in una dimenticanza totale di se stesso.

Questa considerazione può parere esagerata solo a chi non l'ha conosciuto negli ultimi anni, quando apparve palese, a chi gli fu vicino, che la consapevolezza della malattia non lo spaventava affatto, ma gli rendeva solo più urgenti le cose da fare. I pochi che hanno potuto vedere la sua stanza possono testimoniare che si trattava di una nuda cella con un letto, che forse è più opportuno definire pagliericcio. In questa dedizione agli altri, dimentico di sé e dei suoi problemi, in questo consumare la propria vita per il prossimo, ricorda un altro grande educatore: don Lorenzo Milani.

Solo se si pensa a questo, si spiega il fascino che ha esercitato sui giovani che hanno avuto “la benedizione” di conoscerlo.

Questo gruppo, che era cresciuto negli anni fino a censire 136 scout, non sopravvisse a lungo al suo fondatore.

Nel maggio ‘74, in occasione del referendum sul divorzio, alcuni capi firmarono un documento dei “cattolici per il no”.

Questa presa di posizione assunta a titolo personale senza coinvolgere direttamente il Gruppo Scout provocò irrigidimento e tensione con il Parroco che scelse un atteggiamento di non comunicazione.

L'epilogo della vicenda è noto: l'incomprensione, l'incomunicabilità e la conseguente rottura furono origine di “dolore” per tutti, sia per chi è partito, sia per chi è rimasto solo, ed ancora oggi, per alcuni, è difficile e doloroso ricordare questo “strappo”.

 

 

La Comunità Capi

 

 Pag 01Estratto dal volume: "Nello zaino ... una città" pubblicato da AGESCI - Zona di Forlì, Febbraio 1989 

 

 

Il gruppo Scout ASCI poi AGESCI Forlì 3 è stato attivo nella Parrocchia di Santa Maria del Fiore dal 1955 al 1974. Oggi un altro gruppo Forlì 3 opera nella Parrocchia di Santa Caterina da Siena

       

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Giglio giallo

 

 

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